Astonishingly boring, straordinariamente noioso. Così è stato bollato qualche giorno fa sul New York Times il lavoro di Steve McCurry, indiscussa – fino a ieri – icona fotografica mondiale. L’articolo, firmato dal fotografo e saggista Teju Cole, si intitola A too-perfect picture: i soggetti di McCurry sono sempre in posa o lo sembrano, hanno visi dipinti a colori vivaci o indossano serpenti come collane, guardano in camera con occhioni seducenti; e poi la composizione è rigida e monotona, la saturazione esasperata. McCurry non ritrae i luoghi – in questo caso l’India – ma la visione idealizzata che ne ha. Come chi raccontasse gli Stati Uniti ritagliandone scorci da Vecchio West. Insomma, che noia. Questo il succo dell’articolo.
Ovviamente è subito partita la tifoseria. A favore e soprattutto contro McCurry, le cui foto continuano a essere esposte in tutto il mondo e a generare incassi da superstar.
Ecco, il punto è proprio questo: più che un fotografo in carne e ossa, uno che va in giro con la macchina fotografica al collo, ormai da anni Steve McCurry è (percepito come) una superstar.
È un brand costruito molto sulla bravura tecnica, in parte su una visione personale del mondo, moltissimo sul marketing. McCurry è diventato un’icona perché sa usare la macchina fotografica ma soprattutto perché ha lavorato sodo, per decenni, viaggiando senza sosta e promuovendo il suo lavoro. Insomma ha usato bene la testa.
Il suo approccio estetizzante e pittorico è lontano dal reportage. Colpisce ma non incuriosisce. Tuttavia non toglie nulla a chi il reportage lo fa o lo cerca. Il mondo è grande, le possibilità fotografiche sono infinite. Perché prendersela adesso con Steve McCurry? Perché è famoso e ha fatto i soldi?
Lo stesso meccanismo che ha trasformato un fotografo in star cara alle masse, porta le masse ad accodarsi a chi lo giudica noioso. È il solito tritacarne che osanna gli idoli e poi li impicca. Stare a guardare questo teatrino è divertente, all’inizio; poi diventa – oibò – noioso.
Avremmo potuto andarcene in giro a guardare il mondo, invece siamo rimasti a fotografarci i piedi nudi su un comodo tappeto colorato. Ma camminare è faticoso, si sa.